E’ noto il caso di Camilla Marianera, praticante avvocato entrata nello staff dell’assessore Lucarelli, chiamata a rispondere per il reato di corruzione, arrestata e posta in stato di custodia cautelare in carcere un anno fa. Il compagno accusato di corruzione in atti giudiziari, ed entrambi di avere “venduto” in cambio di “mazzette”, notizie coperte dal segreto istruttorio.
La donna, chiamata a rispondere alle domande della Procura, si è difesa: «Ho millantato di avere conoscenze, anche in sala intercettazioni, ho ingigantito le informazioni che in realtà avevo preso da internet, anche sul funzionamento del sistema, con la luce verde e rosso, ho trovato la foto sul web. L’ho fatto per procurarmi un bacino di clienti e fare più soldi ma ora se tornassi indietro non millanterei più».
Circa l’incontro con Luca Giampà, arrestato per tentato omicidio ai danni di Antonio Casamonica nell’agguato del luglio 2019 in zona Spinaceto, le parole della donna: “De Vivo sapeva che io con Giampà millantavo, ma la nostra relazione era abbastanza litigiosa e in un momento di rabbia gli dissi che se non avessi preso 500 euro per il mio servizio me li doveva dare lui”.
Il Pubblico Ministero le contestava di aver cambiato versione rispetto a quanto dichiarato in sede di primo interrogatorio e Marianera ha risposto «non ero lucida, ero provata, stavo in galera da meno di 24 ore e non avevo dormito».
Secondo la Procura dal 2021 al dicembre scorso, De Vivo e Marianera ”erogavano utilità economiche a un pubblico ufficiale allo stato ignoto, appartenente agli uffici giudiziari di Roma e addetto all’ufficio intercettazioni, perché ponesse in essere atti contrari ai doveri del suo ufficio, consistenti nel rilevare l’esistenza di procedimenti penali coperti dal segreto, l’esistenza di intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, atti remunerati mediamente nella misura di 300 euro a richiesta”.
Innanzitutto le affermazioni rese dall’imputata in sede di interrogatorio sono poco credibili al sottoscritto, figurarsi ad un Magistrato chiamato a ricostruire i fatti.
La natura di questi ultimi, il modo in cui si legano alla condotta di altre persone in un contesto Istituzionale (dunque, un terreno particolarmente delicato!) richiedono, prima ancora di rispondere alle domande di un Pubblico Ministero in sede di interrogatorio, la necessaria conoscenza degli atti d’indagine.
Solo a quel punto è possibile costruire una efficace linea difensiva a favore dell’indagato.
Ma perché lo Stato combatte la corruzione attraverso misure, detentive e non, particolarmente ferree?
Il reato di corruzione è un crimine che ha gravi conseguenze per la società e per l’integrità delle istituzioni.
La corruzione, difatti, compromette la fiducia nel sistema giudiziario, politico ed economico, ledendo quei principi fondamentali di equità, imparzialità e trasparenza.
Gli effetti di questo reato sono devastanti, seppur non percepiti nell’immediato.
Distorce, difatti, il processo decisionale, permettendo a individui o gruppi di influenzare le scelte e le azioni delle autorità pubbliche a proprio vantaggio.
Questo, a sua volta, porta a una violazione dell’uguaglianza di trattamento e delle opportunità per tutti i cittadini, minando la fiducia nel sistema e generando un senso di ingiustizia diffuso.
Da qui nasce l’impegno forte e continuo che, a parere del sottoscritto, dovrebbero avere le Istituzioni, la società civile e i cittadini stessi nel contrastare la corruzione, anche attraverso una adeguata formazione ed educazione sull’argomento.
Sono necessarie leggi e procedure efficaci per prevenire, investigare e perseguire i casi di corruzione, assicurando che i colpevoli vengano puniti e che gli illeciti vengano riparati.